dinobecagli@virgilio.it

                                                                                                                    di terra & poesia è il primo cd-audio dedicato a quanti stimolati dall'ascolto vorranno conoscere la figura e l'opera degli  autori  in  raccolta scoprendone la bellezza in un rinnovato interesse per la poesia lucana.

Home
 

I

 

P

O

E

T

I

ISABELLA MORRA

 

Canzone I
    
 

 

Poscia ch'al bel desir troncate hai l'ale,
che nel mio cor sorgea, crudel Fortuna,
sì che d'ogni tuo ben vivo digiuna,
dirò con questo stil ruvido e frale
alcuna parte de l'interno male
causato sol da te fra questi dumi,
fra questi aspri costumi
di gente irrazional, priva d'ingegno,
ove senza sostegno
son costretta a menare il viver mio,
qui posta da ciascuno in cieco oblio.
Tu, crudel, de l'infanzia in quei pochi anni,
del caro genitor mi festi priva,
che, se non è già pur ne l'altra riva,
per me sente di morte i gravi affanni,
chè 'l mio penar raddoppia gli suoi danni.
Cesar gli vieta il poter darmi aita.
O cosa non più udita,
privare il padre di giovar la figlia!
Così, a disciolta briglia,
seguitata m'hai sempre, empia Fortuna,
cominciando dal latte e da la cuna.
Quella ch'è detta la fiorita etade,
secca ed oscura, solitaria ed erma
tutta ho passato qui cieca ed inferma,
senza saper mai pregio di beltade.
È stata per me morta in te pietade,
e spenta l'hai in altrui, che potea sciorre
e in altra parte porre
del carcer duro il vel de l'alma stanca,
che, come neve bianca
dal Sol, così da te si strugge ogn'ora,
e struggerassi infin che qui dimora.
Qui non provo io di donna il proprio stato
per te, che posta m'hai in sì ria sorte
che dolce vita mi saria la morte.
I cari pegni del mio padre amato
piangon d'intorno. Ahi, ahi! misero fato,
mangiare il frutto c'altri colse, amaro
quei che mai non peccaro,
la cui semplicità faria clemente
una tigre, un serpente,
ma non già te, vêr noi più fiera e rea
c'al figlio Progne ed al fratel Medea.
Dei ben, ch'ingiustamente la tua mano
dispensa, fatta m'hai tanto mendica
che mostri ben quanto mi sei nemica,
in questo inferno solitario e strano
ogni disegno mio facendo vano.
S'io mi doglio di te sì giustamente
per isfogar la mente,
da chi non son per ignoranza intesa
i' son, lassa, ripresa:
chè, se nodrita già fossi in cittade,
avresti tu più biasmo, io più pietade.
Bastone i figli de la fral vecchiezza
esser dovean di mia misera madre;
ma per le tue procelle inique ed adre
sono in estrema ed orrida fiacchezza;
e spenta in lor sarà la gentilezza
dagli antichi lasciata, a questi giorni,
se dagli alti soggiorni
pietà non giugne al cor del re di Francia,
che, con giusta bilancia
pesando il danno, agguaglie la mercede
secondo il merto di mia pura fede.
Ogni mal ti perdono,
nè l'arma si dorrà di te giammai
se questo sol farai
- ahi, ahi, Fortuna, e perchè far nol dêi? -
che giungano al gran Re gli sospir miei.
 

 
   

 

top

 

Home MORRA